Facilito un gruppo di giovani studenti delle superiori in un percorso di leadership development. Arriva l’emergenza coronavirus: chiude la scuola, chiudono tutte le attività sportive e ricreative. Per quanto personalmente sia sempre stata allergica alle riunioni online, decidiamo di adattarci a questa nuova situazione e, dopo aver risolto alcune lacune digitali della “generazione digitale” (sì, perché che i giovani siano bravi con le app è un mito da sfatare), diamo vita ad un incontro a distanza.

I primi 15 minuti del primo incontro online trascorrono mettendo sul piatto le problematiche generate dal nemico coronato. Sembra caduto il mondo: dopo mesi di lavoro, non solo la minaccia di sospendere le attività formative, ma i ragazzi capiscono di dover accantonare i loro progetti. “Che sf…ortuna! Proprio adesso che ci stavo riuscendo!” – dice un ragazzo. “Proprio adesso che avevo formato una squadra di persone. E proprio adesso che finalmente avevo risolto tutte le questioni in sospeso. Che rabbia.” – dice il compagno. Ci tengo a precisare che non è così frequente arrivare ad implementare un progetto e quando capita celebriamo l’evento come la resurrezione nel giorno di Pasqua. L’aria che tira è quindi un mix di frustrazione, delusione e abbattimento.

Anche nella mia vita professionale il 90% delle attività si è fermato. Non nascondo la frustrazione per veder bloccati molti progetti che forse non potranno più realizzarsi. C’è anche preoccupazione per il futuro molto nebuloso. Ma per chi, come me e i miei ragazzi, è nel pieno di un’attività di leadership development, accantonata la frustrazione, è possibile constatare che, dal punto di vista formativo, il nemico coronato ha anche offerto un assist non da poco. Non è vero che tutto si ferma. È vero piuttosto che tutto cambia. Cambia il contesto –> un leader reagisce cambiando il modo in cui si mette in gioco. Essere leader significa essere guida perattraverso e nel cambiamento.

Ho capito, ma come facciamo a pensare e a lanciare dei progetti se siamo chiusi in casa? Forse dovremmo rimandare a tempi migliori quando la situazione sarà sbloccata, non vi sembra?” – chiede qualcuno dei ragazzi.

Nulla tornerà come prima e aspettare che tornino “tempi migliori” è una favola che ci raccontiamo perché abbiamo paura di cambiare, o meglio, paura di perdere qualcosa, paura che ciò che dovrà venire sia meno bello di quanto abbiamo avuto finora (per quanto ce ne siamo comunque lamentati). Se facciamo un passo al di fuori della nostra quotidianità che ci vede bloccati in casa, frustrati o depressi o persi, osserveremo che il mondo non si è fermato. È cambiato: viviamo in un ambiente fatto di nuovi problemi, più complessi di prima, e di nuovi vincoli.

Leader di questo tempo sarà allora chi riuscirà ad accompagnare gli altri attraverso un periodo di turbolenza, di cambiamento.

Serve analizzare, diagnosticare e agire. Serve ridefinire il problema, analizzando ciò che funziona ancora e ciò che non sta funzionando più e lavorare a soluzioni che al momento non sono conosciute. Serve imparare un nuovo modo per approcciare i problemi; se non cambiamo qualcosa nel nostro modo di approcciare i problemi, finiremo a continuare ad implementare le stesse soluzioni, inutilmente. Serve mobilitare gli altri a rivedere ed eventualmente cambiare priorità, convinzioni e abitudini.

Fatto un passo indietro e messe da parte le lamentele per la situazione attuale e i progetti arenati a causa del lockdown, due giorni dopo l’incontro facilitato online, improvvisamente comincio a veder piovere nella chat di gruppo dei ragazzi un tempestare di idee per affrontare alcuni dei nuovi problemi della comunità.

In 5 giorni vengono mobilitati amici, conoscenti e gente sconosciuta in giro per il mondo. Nascono gruppi di studio a distanza, si avviano contatti con organizzazioni sconosciute all’estero, si praticano le lingue straniere, si fa la spesa per gli anziani, si montano video per sensibilizzare le popolazioni dei Paesi che ancora non sono state invase dal virus a mettere in atto le buone norme igieniche, si vince la solitudine di chi è isolato dalla propria famiglia…

Tutto questo avviene mentre c’è comunque chi rimane fermo ad aspettare e che non capisce questo pullulare di iniziative.

Dovresti studiare! Hai gli esami quest’anno. ” – dice un genitore al figlio.

Scusate, ma questa cosa del virus mi mette ansia, chiudo la chat. Ci vediamo quando l’emergenza è finita.” – dice l’amico coinvolto nel progetto. 

“Raga, secondo me questa cosa non funzionerà mai, e poi c’è gente molto più competente e famosa di noi che si sta occupando del problema.” 

Ma essere leader significa anche giocare sempre sul filo della lama, in equilibrio tra l’agire all’interno del perimetro delle aspettative degli altri e lo spingersi oltre, verso un territorio sconosciuto che gli altri non riescono ancora ad apprezzare.

Passa una settimana, alcuni progetti prendono il volo e grazie alla tecnologia arrivano anche dall’altra parte del mondo. Certo, non stiamo parlando di start-up milionarie, ma di iniziative il cui valore è inestimabile dal punto di vista formativo.

I ragazzi in pochi giorni si sono resi conto di nuovi limiti da esplorare e problemi da risolvere. Hanno imparato ad utilizzare la tecnologia. Hanno imparato che la tecnologia risolve una parte del problema, ma che il vero cambiamento lo si fa partendo dall’affrontare le proprie convinzioni. Hanno capito che fare qualcosa in questo tempo in cui tutto sembra fermo è non solo possibile, ma necessario. Hanno imparato a vedere le cose da un punto di vista diverso, a condividere questi nuovi punti di vista con altre persone e a mobilitarle.

Per noi facilitatori è una conferma: la leadership è un processo di accompagnamento che cambia persone e comunità.

E il tempo migliore è adesso.