Hakol b’yadecha
In questi ultimi giorni il medio oriente è in fiamme, di nuovo.
Il fuoco del terrorismo questa volta dimostra di poter arrivare davvero lontano. Trascorro la giornata facendo dello smartworking poco “smart”, distratta dalla finestra del browser aperta su un giornale che ogni minuto aggiorna il bollettino con il numero dei decessi, dei feriti, dei razzi sparati, dei siti colpiti di entrambe le fazioni e con le dichiarazioni dei presunti-leader. Scorrono i messaggi in Facebook degli amici conosciuti in quelle zone, suonano le sirene e alcuni condividono foto di sé stessi in attesa di scendere nel bunker. Alcuni sono visibilmente preoccupati. Altri invece mascherano i loro veri sentimenti dietro al sarcasmo tipico di chi sa che la sua vita è nelle mani di Dio e dell’Iron Dome e che il conflitto non avrà mai una soluzione.
Arrivano i video con le immagini dei missili sul cielo di Tel Aviv. Il mio pensiero finisce inevitabilmente ai luoghi vissuti, alla casa in cui ho abitato, ai chilometri percorsi a piedi per le strade della città, agli incontri fatti con persone così diverse l’una dall’altra per storia, religione, idee politiche … e a quel periodo di formazione intenso, trascorso ormai anni fa proprio in quella fascia di terra così ricca umanamente parlando e altresì piena di contraddizioni.
Mi torna in mente una storiella ascoltata nel 2013 e che, a distanza di anni, continuo a raccontare ai giovani e meno giovani che incontro. Si sa, gli ebrei sono maestri dello storytelling, ma ce n’è uno che li batte tutti. “Ti ho raccontato la storia di…?” questo è l’incipit della maggior parte dei nostri incontri e delle nostre (spesso animate) discussioni, oggi purtroppo solo virtuali.
C’era un rabbino molto saggio che si diceva fosse in grado di rispondere a qualsiasi domanda. Nella comunità c’era anche un giovane molto intelligente, di quelli a cui piace sfidare l’autorità dell’adulto, un po’ scettico dell’abilità del rabbino di avere una risposta ad ogni domanda.
Un giorno il giovane decide di mettere alla prova il rabbino ed escogita un piano per provare la sua fallibilità. Pianifica di recarsi a casa sua con una farfalla racchiusa tra i palmi delle mani. Chiederà al rabbino di indovinare cosa tiene tra le mani e successivamente se la farfalla sia viva o morta: se il rabbino dirà che la farfalla è viva, il giovane schiaccerà la farfalla tra i palmi delle mani; se invece il rabbino dirà che la farfalla è morta, il giovane allenterà la presa e lascerà libera la farfalla. In entrambi i casi, per il rabbino non ci sarà modo di avere ragione.
Pregustando il sapore della vittoria, il giovane si avvia alla casa del rabbino che lo accoglie e gli chiede: “Quale domanda hai per me?” . “Rabbino, tu che sei un uomo saggio, puoi indovinare cosa ho in mano?”- chiede il giovane. Il rabbino riflette qualche secondo e risponde: “Tieni tra le mani una farfalla”. “Ma sai dirmi se questa farfalla è viva o morta?” – ribatte il giovane con il cuore a mille, ad un passo dal mettere in scacco il rabbino. Il rabbino attende qualche istante prima di rispondere, guarda il ragazzo negli occhi e sorridendo gli risponde: “Hakol b’yadecha” – è tutto nelle tue mani“.
Questa storiella che è presente in diverse tradizioni, ha molteplici significati. A me piace intenderla così: sta a noi scegliere se e come usare le risorse e le capacità che abbiamo, se svilupparle e farle crescere o se ignorarle. Non sta a qualcuno di esterno a noi, ad un formatore, un mentore, un facilitatore, un guru… la responsabilità di motivarci a coltivare ciò che siamo e il nostro potenziale. Dipende da noi. La farfalla della storia rappresenta un tesoro di valore inestimabile che ognuno di noi ha tra le mani e la responsabilità di una scelta. Quella scelta che può trasformarci in vittime che subiscono gli eventi o nei protagonisti della nostra storia.