L’uomo che piantava gli alberi

Che ci faccio qui

Ogni tanto mi piace fare un giro nei social per vedere le ultime novità condivise dai miei contatti. Ed è così che qualche giorno fa ho incrociato un’intervista andata in onda su Rai3, intitolata Che ci faccio qui (guarda l’intervista qui), che parla di un imprenditore veneto.

Incuriosita, avvio il video dell’intervista e noto subito nell’inquadratura delle montagne che mi sembrano familiari. Scopro così che il protagonista vive a soli pochi chilometri da casa mia. “Che strano” – penso -“Non capita spesso che gli abitanti di questa zona finiscano in un canale della rete nazionale a meno che non si tratti di qualcosa di davvero eccezionale”. Ed effettivamente la storia che viene raccontata ha qualcosa di eccezionale, o per lo meno di notevole per la società che viviamo oggi e i valori che la guidano.

L’intervista è un concentrato di senso e di valori che pescano dal passato, muovono le azioni di oggi con uno sguardo fisso al futuro. Il protagonista è il Sig. Caspon che ha un’azienda che lavora la lana d’acciaio, che produce tra l’altro quelle matassine che usiamo in cucina per pulire le pentole. Nella sua storia ci sono tutti gli ingredienti dell’imprenditore-leader: la creatività, il genio, la passione, la disciplina, la dedizione, il desiderio misto al bisogno di lasciare un segno nella storia.

Il Veneto è terra di imprenditori di successo e la storia del Sig. Caspon sembra quella di tanti suoi colleghi del posto. Ma come fa notare l’intervistatore, il Sig. Caspon sembra l’incarnazione veneta di Elzéard Bouffier, il protagonista de “L’uomo che piantava gli alberi “, di Jean Giono: negli ultimi cinque anni ha comperato un centinaio di campi per risparmiarli dalla moda dell’agricoltura intensiva.

L’aspetto curioso è che nei suoi campi, il Sig. Caspon, ogni anno pianta centinaia di alberi salvati dall’abbattimento necessario a far spazio all’industria, all’agricoltura o, più recentemente, agli scavi della nuova autostrada. Quando non è in fabbrica, il Sig. Caspon si prende cura dei suoi campi per permettere agli alberi e agli animali che oggi li abitano di vivere. Il desiderio è di lasciare il segno nella comunità, ritrasformando il territorio e restituendo alle generazioni future il verde che caratterizzava queste campagne al tempo dell’infanzia dell’imprenditore.

Ci deve essere sempre un fine alle cose che fai. 

Molti sono gli imprenditori che rincorrono la felicità nell’acquisto quasi compulsivo di beni materiali e/o di lusso. Ne ho incontrati diversi e di alcuni di loro sono stata anche assistente. Li ho visti rincorrere gli affari con l’obiettivo del “macchinone”, della villa a Nizza, dello yacht o dell’aereo privato. Qualcuno l’ho visto diventare dipendente dall’adrenalina della negoziazione e degli affari che poi sfociava in altri tipi di dipendenze. Li ho visti perdere il senso del loro fare, mai pienamente soddisfatti, così come le loro famiglie e i loro figli cresciuti ereditando il valore del fare per avere (e per essere) sempre qualcosa in più e di sempre più grande.

L’intervista al Sig. Caspon regala invece la figura di un imprenditore che sa che nulla è fine a sé stesso e che ricerca la felicità altrove. Nelle sue parole traspare un fare per raggiungere un fine di ordine superiore.

Sono ricco.

In questa storia c’è consapevolezza del limite, del senso della misura, e un’ attenzione a ciò che veramente conta. Stupisce sentir parlare un imprenditore che trova la ricchezza in un progetto che non genera fatturato. Vorrei dire, emoziona.

Sugli affari tiro sempre il prezzo, sugli alberi quello che mi dicono gli do.

Si dice che gli imprenditori abbiano la capacità di vedere cose che gli altri non vedono. Mentre in azienda, e più in generale nella società odierna, si è soliti scartare ciò che non è perfetto, il Sig. Caspon sembra vedere valore in ciò che gli altri scarterebbero. Questa mentalità ricorda quella delle tradizionali famiglie locali di un tempo che non buttavano via nulla. Ma nel caso specifico, il recupero non è finalizzato ad un risparmio economico, anzi, lo “scarto” del Sig. Caspon ha un costo. Per chi riesce a vederlo, il guadagno è in bellezza. Nei suoi campi ci sono alberi di tutti i tipi, più o meno alti, rigogliosi o secchi; ciò che conta è la bellezza dell’insieme e della diversità, la conservazione della storia di quegli alberi e la tutela della loro vita, che non ha prezzo.

Servire

Sulla leadership hanno scritto in tanti provando a teorizzarla. Molti manager e uomini d’azienda la ritengono una competenza da sviluppare. Io invece la ritengo un modo di esistere: un esistere per il servizio che darà al leader un senso e che rivelerà la sua eccezionalità solo nel lungo periodo.

Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile.

L’uomo che piantava gli alberi – Jean Giono 

L’esempio è il modo migliore per trasmettere il significato dell’essere leader. Sicuramente il Sig. Caspon è da aggiungere alla lista di quelle persone da cui prendere esempio.