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L’arte di fare domande… killer

Cosa significa essere un buon capo per un giovane alle prime esperienze? 

 

Il capo-mentore

Per un giovane alle prime esperienza lavorative, poter contare su un capo-mentore o, come piace definirlo a me, un pulitore di diamanti, può essere determinante. Più che dare istruzioni, il capo-mentore accompagna e sostiene il giovane perché acquisisca una progressiva autonomia nel lavoro, conoscenza e sicurezza nelle sue capacità. Non solo, il capo-mentore stimola il giovane a far mergere il suo potenziale e a svilupparlo.

“Ma questi giovani hanno bisogno di qualcuno che li guidi anche da adulti?” – potrebbe lamentare qualcuno. Se consideriamo che millennials e centennials sono cresciuti avendo genitori, insegnanti, allenatori sempre pronti a tirare fuori il meglio di loro, non dovrebbe sorprendere che i giovani siano high maintenance anche una volta entrati nel mondo del lavoro.

Un interesse di sistema

L’interesse del capo con la “C” maiuscola è di sistema, non limitato all’ufficio che coordina e neppure all’azienda per cui lavora: è ben consapevole dell’impatto positivo che l’investimento in un giovane può avere nella comunità in generale.

Greenleaf e la servant leadership offrono buone indicazioni per chi ambisce a diventare un pulitore di diamanti: condizione imprescindibile è un genuino interesse per l’altro e la sua crescita. L’obiettivo del capo-mentore è far sì che tra coloro in cui investe la sua attenzione emerga qualcuno che a sua volta decida di mettersi a servizio della crescita di altri giovani. Si innesca così un circolo virtuoso che permette il continuo crescere di diamanti e pulitori di diamanti e, di conseguenza, lo sviluppo e la sostenibilità delle organizzazioni.

Cosa fare?

Come tradurre in pratica quello che altrimenti rischia di essere un discorso un po’ troppo fumoso e limitato ad un “massaggio dell’anima”? Cosa fare per migliorare le proprie capacità di “capo-mentore”? (Se poi sostituiamo la parola “capi” con “genitori, insegnanti, allenatori”, il discorso si estende a ben altri ambiti del quotidiano).

Quando un giovane chiede un aiuto, verrebbe d’istinto lanciarsi in consigli. È rapido, apparentemente efficace e gratificante, soprattutto quando ci sono mille cose da fare e non si ha tempo di star dietro a chi non ha esperienza e che con qualche suggerimento può facilmente cavarsela. È tuttavia probabile che quel consiglio una volta implementato non funzioni, oppure che la persona che riceve il consiglio decida di non attuarlo o di attuarlo solo parzialmente. La persona che abbiamo di fronte ha un problema unico, tutto suo, che per quanto possa assomigliare a situazioni che abbiamo affrontato in passato, è per definizione diverso. Meglio dunque mordersi la lingua e, piuttosto, rispondere alla richiesta di aiuto con una domanda che permetterà l’interlocutore di riflettere, di andare in profondità alla questione e trovare la sua soluzione al problema.

Diventare abili nel fare domande è una questione di allenamento, una capacità che va coltivata con pazienza e ascolto se si vuole sperare che un giorno quel giovane possa essere autonomo e diventare a sua volta il capo-mentore di qualcun altro.

L’arte delle domande killer

Il capo-mentore è un professionista della “domanda killer”, ossia quella domanda talmente azzeccata che scaccia il dubbio. È facilmente riconoscibile perché quando viene posta si nota un cambiamento nel volto del nostro interlocutore: a qualcuno brillano gli occhi, ad altri viene un accenno di sorriso quasi che, grazie a quella domanda, avessero intravisto la chiave al loro problema.

Da dove cominciare se non si è ancora campioni di domande killer? M.B. Stanier suggerisce 7 domande che possono essere uno spunto di partenza.

1. Cosa ti frulla in testa?

Partendo dal presupposto che non potrai mai sapere con certezza cos’abbia in mente il tuo interlocutore, nessun consiglio è utile se prima non hai chiarito con lui quale sia il problema.

2. Cos’altro?

Questa domanda aiuta l’interlocutore a riconsiderare il problema che ha condiviso e ad andare nei dettagli.

3. Qual è il vero ostacolo/ l’opportunità per te?

Tante volte la persona che abbiamo di fronte non conosce il suo problema o non lo ha ben chiarito a sé stesso. Anzi, molto spesso mette sul tavolo più problemi collegati tra loro. Questa domanda aiuta l’interlocutore a stabilire un ordine di priorità, ciò che è davvero importante.

4. Cosa vuoi veramente?

Un buon capo-mentore dovrebbe ascoltare non solo il problema, ma le motivazioni e i bisogni che muovono l’interlocutore; fare chiarezza sul vero bisogno può infatti generare soluzioni diverse.

5. Come ti posso aiutare?

Tante volte l’interlocutore non si rivolge al mentore per ricevere un consiglio, ma per uno sfogo. Perché sprecare fiato e lanciarsi in ragionamenti quando il bisogno è di una presenza silenziosa?

6. Se dici “sì” ad una soluzione, a cosa stai dicendo “no”?

È importante aiutare l’interlocutore a riflettere su tutte le conseguenze della soluzione scelta, sia nel breve che nel lungo termine. Se consideriamo che le nuove generazioni si dice siano poco inclini a valutare le conseguenze a lungo termine di una soluzione che scelgono di adottare, specialmente quelle negative, questa domanda può avere un valore ancora maggiore.

7. Cosa ti è stato più utile?

Una volta trovata e messa in atto la soluzione, è importante aiutare l’interlocutore a riflettere sull’intero processo per verificare cosa ha imparato di nuovo.

Crescita di gruppo

Il potere delle “domande killer” è contagioso ed è un ottimo esercizio da fare in gruppo per stimolare i più giovani a collaborare tra loro nella risoluzione dei problemi. Con un po’ di allenamento, si osserva che le riunioni assumono un tono diverso: i partecipanti sono più attivi, arrivano preparati al confronto, si fanno più ascoltatori e diventano via via più precisi nel porsi reciprocamente domande. Il confronto è più dinamico, più gratificante per i partecipanti ed arricchente. Il capo-coach piano piano scompare di scena: il gruppo diventa capace di definire e affrontare i problemi in autonomia.

Coltivare il piacere per le domande richiede pazienza, ma l’organizzazione nel tempo ne guadagnerà in creatività, innovazione e crescita.