Il servant-leader va in vacanza. La leadership no.

Vi è mai capitato di comperare libri compulsivamente?

Negli ultimi tempi mi sono resa conto che gli scaffali del mio studio si sono riempiti parecchio. Fatta eccezione per il periodo del primo lockdown in cui non era possibile recarsi in libreria e Amazon non poteva occuparsi di spedizioni di beni che non fossero di prima necessità, di libri ne ho acquistati parecchi.
Il punto è che mi è difficile riuscire a tenere il ritmo della lettura!
Spesso, arrivata alla metà di un libro, mi trovo ad abbandonarlo catturata magari da un nuovo titolo nella vetrina della libreria della stazione. Altre volte, l’acquisto si rivela deludente: finisco per chiudere il libro e lasciarlo ad impolverare sullo scaffale, dimenticandomene.

Così, al vedere accumularsi troppi testi letti a metà, ho deciso di rimediare prendendo due decisioni:

1) dare un taglio all’acquisto di nuovi libri

2) riprendere in mano almeno una parte delle letture non terminate.

Se il primo proposito devo dire mi sta riuscendo bene, il secondo è più sfidante. In coda ci sono diversi testi e chissà che il periodo estivo possa essere l’occasione per riprenderne in mano qualcuno. I generi sono i più disparati: leadership, filosofia, geopolitica, narrativa… è un buon minestrone! Ma tutti, in qualche modo, confluiscono nel cassetto metaforico da cui elaboro nuove idee per le mie attività di formazione o di consulenza.

Giusto un paio di settimane fa ho terminato allora la lettura di “Leader ma non troppo” di Giuseppe Morici. L’avevo comperato al volo nella bellissima libreria Feltrinelli in Centrale a Milano, prima di prendere il treno. Mi aveva colpito la frase in quarta di copertina:

 

La vera leadership è quella che ne genera altra. È l’arte di scomparire, creare spazio per il talento altrui e non rendersi mai indispensabili.

 

Devo ammettere di essere particolarmente invidiosa di questa frase: se dovessi scrivere sulla leadership, sono probabilmente queste le parole che sceglierei. Parlano di sostenibilità e integrazione: concetti molto semplici, ma forse i più importanti e difficili da mettere in atto nella gestione di qualsiasi organizzazione o progetto.

Nella frase “La vera leadership è quella che ne genera altra”, se volessimo andare a fondo, c’è molto di Robert Greenleaf e della servant-leadership:

 

Do those served grow as persons? Do they, while being served, become healthier, wiser, freer, more autonomous, more likely themselves to become servants?

 

Prima che essere leader, si è al servizio di chi ci sta attorno, dei collaboratori in primis. E il vero obiettivo del leader è assicurarsi che tra le persone servite, o con cui si collabora, vi sia qualcuno disposto a divenire leader a sua volta. Affinché questo accada, c’è da lavorare insieme facendo crescere il potenziale di ognuno.

Morici parla di arte della leadership generativa, ma prima di lui tanti altri autori ne hanno fatto menzione pur utilizzando terminologie diverse.
In libreria, tra gli scaffali dedicati alle biografie si trovano storie di grandi uomini e donne – leader che si sono “fatti da sé”. Da qui ci viene spesso trasmessa l’idea di una leadership “leader-centrica” focalizzata su un eroe, spesso stacanovista, onnipresente, che non si prende un momento di pausa.
È vero che esistono molteplici stili di leadership, ma mi viene difficile credere che una leadership “leader-centrica” sia generativa. O per lo meno, non penso sia lo stile di leadership adatto al contesto in cui ci troviamo a vivere oggi: troppo sbilanciato verso la figura del leader e poco focalizzato sulla relazione con le persone di cui il leader è al servizio.
Potremmo allora forse intendere il “leader generativo” come colui che pur mantenendo una certa considerazione per sé stesso, mette al centro la sua relazione con gli altri e l’obiettivo che con loro vuole raggiungere. Nella pratica significa dedicare tempo alla gestione delle persone, all’individuazione del loro potenziale e al loro indirizzo.

Far crescere gli altri significa poter divenire via via meno indispensabili. La leadership infatti, se da una parte richiede una presenza del leader tale da agevolare lo sviluppo del “talento” degli altri, è anche l’arte di scomparire con gradualità: ad un certo punto è necessario farsi da parte e permettere che si generi una leadership nuova, capace di dare ulteriore sviluppo al progetto o all’organizzazione.

Non è di certo facile dare in mano la “propria creatura” ad altri. A volte infatti viviamo nell’illusione o nella convinzione che la propria creatura, sia essa un’organizzazione o un progetto, possa vivere solo perché siamo noi a guidarlo. Ma non è sempre così, anzi!

“Sono andato in vacanza per una settimana e nessuno dei collaboratori mi ha telefonato per chiedere aiuto” – mi confidava un imprenditore qualche settimana fa. In questa frase c’è un po’ di malinconia perché non essere indispensabile per qualche leader può voler dire perdere il proprio valore. Dall’altra parte però, c’è la soddisfazione di vedere crescere i collaboratori e così anche l’integrazione e la sostenibilità futura della “creatura”.

Il leader generativo, dunque, va in vacanza: se ha operato bene, può lasciare l’organizzazione nelle buone mani dei collaboratori e nella loro leadership.

E quando arriva il momento di andare “in vacanza” in modo definitivo da un’organizzazione o da un progetto, si può star tranquilli che il leader generativo non smetterà di essere leader.
La leadership è un modo d’essere, uno stile di vita: non è un impermeabile che si indossa per uscire di casa quando fuori piove, ma è la pelle da cui non ci si può separare.
Non sarà quindi mai messo in discussione se il leader sarà ancora tale, ma come lo sarà e in quale nuovo contesto.