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Tradizioni e mondo del lavoro

Domenica sera è cominciata Hanukkah, la festa della luce secondo la tradizione ebraica.

È una delle feste più rinomate della tradizione, non tra le più importanti ma forse tra le più affascinanti visto che le città che celebrano questo momento del calendario si addobbano di luci.

Hanukkah è la festa in cui si commemora la riconsacrazione del tempio di Gerusalemme da parte dei Maccabei avvenuta nel 165 a.c. dopo che gli Elleni l’avevano profanato. Giuda Maccabeo, che aveva guidato l’operazione di ribellione contro re Antioco, ordinò che si festeggiasse per 8 giorni. Durante questo periodo di tempo la Menorah, come da rituale, sarebbe dovuta rimanere continuamente accesa, ma si trovò olio sufficiente solo per una giornata. Nonostante tutto si procedette a preparare un candelabro e ad illuminarlo. Miracolosamente l’olio bastò per otto giorni, tempo necessario a procurarne dell’altro.

In questa festa le finestre si illuminano con un menorah a nove bracci (hanukkiah). Otto candele simboleggiano gli otto giorni di festa, mentre la candela centrale (shamash – custode) serve ad accendere le altre. Ogni sera, al tramonto, viene accesa una candela in più fino ad avere la hannukkiah interamente illuminata all’ottavo giorno di festa.

Un famoso rabbino newyorkese in questi giorni ha fatto notare come l’epoca in cui è nata questa tradizione per certi versi non sia molto diversa da quella che viviamo oggi. Molto caotica, segnata da conflitti sociali, politici, economici, incertezze e inquietudine. Di fronte a tale complessità, anche il leader più esperto rischia di barcollare e mettere in dubbio le sue capacità e convinzioni. Nelle nostre organizzazioni e nella comunità più in generale, l’individuo può sentirsi impotente, infinitamente piccolo e incapace di cambiare le cose.

Il miracolo di Hanukkah può essere ricordato a esempio di come un gruppo di persone, per quanto piccolo, se accomunate da medesimi valori e scopi, possano riuscire a fare la differenza e a cambiare il corso della storia.

Il rabbino M.Davidson invita a trovare un significato a ogni candela della hannukkiah accesa. Accendere una candela significa metaforicamente riconoscere la scintilla, il potenziale di chi vive attorno a noi e farsi responsabili perché non si spenga.

Dunque, prendendo spunto da M.Davidson, accendo lo shamash per la crescita personale mia e di tutti coloro che lavorano con le organizzazioni provando a portare una prospettiva nuova.

La prima candela l’accendo per chi riesce oggi si impegna a fare impresa in modo “sano”, sostenibile, avendo cura di tutte le persone coinvolte.

La seconda candela l’accendo per quei giovani che desidererebbero portare il loro contributo e mettersi in gioco, ma che sono  bistrattati da organizzazioni in cui non trovano percorsi di crescita, ma solo parcheggi momentanei.

La terza candela la accendo per i più senior la cui esperienza e saggezza viene spesso messa da parte perché considerata non utile ad affrontare le sfide presenti.

La quarta candela è per chi si trova disoccupato a causa di un sistema che fa fatica a riqualificare chi non ha le competenze necessarie alle organizzazioni.

La quinta candela è per quei lavoratori che vivono con l’incertezza di tornare a casa la sera ancora sani.

La sesta candela è per chi è imprenditore, il cui peso delle responsabilità viene spesso sottovalutato.

La settima candela è per chi viene discriminato sul luogo di lavoro.

L’ottava candela è per chi non viene valorizzato adeguatamente per il lavoro che svolge.

E voi? Per chi accendereste i bracci della menorah?