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Dare valore ai valori. Favorire l’integrazione tra generazioni

Valori
“Puoi organizzare una giornata di formazione su tecniche e strumenti per reclutare, coinvolgere, trattenere i giovani nella nostra azienda?”
“Ci puoi parlare di casi di aziende di successo?”

Queste ultimamente sono le richieste che più mi vengono rivolte da aziende di dimensioni e settori molto diversi l’uno dall’altro.

“Prima di guardare agli altri” – chiedo – “Voi, come siete messi?”

La risposta che ricevo il più delle volte, e nei migliori dei casi, è “Non benissimo”.  “Non ci abbiamo mai pensato prima. Ultimamente il turnover tra i più giovani è alto e temiamo che la situazione possa peggiorare.”

Non occupandomi di sociologia mi viene difficile poter spiegare il fenomeno del turnover in modo scientifico, tantomeno quello delle grandi dimissioni che lascio raccontare agli esperti. Posso però provare a tenere gli occhi e le orecchie aperte, dialogare con le aziende che incontro e imparare qualcosa dalla situazione che stanno vivendo.

Negli ultimi tempi non posso fare a meno di notare una cosa: le aziende che hanno investito decenni fa nelle persone, oggi soffrono meno del fenomeno “carenza di giovani” e “grandi dimissioni”.

“Che ovvietà!” – potrebbe ribattere qualcuno. Eppure, se lo fosse davvero, oggi forse non mi troverei così di frequente seduta attorno ad un tavolo ad affrontare il problema.

Cosa differenzia le aziende che soffrono meno da quelle che soffrono di più? Non penso siano gli strumenti, ma la cultura aziendale.
Prima di lavorare sulle tecniche e gli strumenti, è necessario preparare il contesto, la cultura, in cui le strategie e gli strumenti potranno attecchire e agevolare il cambiamento.

Parlare di cultura aziendale è faticoso. Si preferirebbe fiondarsi sulle soluzioni di breve, tecniche appunto, che possano fermare l’emorragia di giovani (“Il problema ce l’ho oggi!”). Invece, c’è da iniziare un percorso complesso e che richiede tempo. Tuttavia, chi anni fa ha scelto di percorrerlo oggi può garantirsi una migliore sostenibilità rispetto a chi non l’ha fatto.

Da dove cominciare?

Ci sono probabilmente più punti di partenza. Dialogando con alcuni imprenditori e manager, ho trovato interessante cominciare dai valori dell’azienda.

Tutte le aziende hanno dei valori, più o meno esplicitati. Molte volte sono un po’ bistrattati anche se, da quando il cliente si è fatto più “attento”, hanno cominciato a farsi più spazio, anche all’interno dei siti aziendali.

I valori rappresentano un potente strumento, se utilizzati con consapevolezza. I valori aziendali infatti, prima che assolvere ad una funzione esterna, sono un importante punto di riferimento per chi opera internamente all’azienda. I valori stabiliscono il come l’azienda e tutti coloro che concorrono al suo “fare” operano: sono (dovrebbero essere) alla base dei comportamenti agiti per raggiungere gli obiettivi che l’azienda si è posta.

In particolare, di fronte alla complessità e al continuo cambiamento, i valori rappresentano un punto di riferimento ogniqualvolta ci si trovi ad operare in zone sconosciute. I valori guidano le decisioni difficili e poi le azioni agite per implementarle.

Trovare il tempo per fermarsi e “mappare” i propri valori è un esercizio che in tempi complessi come quelli che viviamo oggi può tornare utile in più circostanze. Tra queste anche quella di allineare (integrare) generazioni diverse, gestire il confronto, favorire il coinvolgimento dei più giovani, creare sinergie tra chi è portatore di idee fresche e chi ha l’esperienza necessaria per metterle a terra.

L’esercizio di identificazione dei valori può essere aperto a più livelli dell’organizzazione e in modo trasversale alle funzioni. Diventa una occasione di confronto e di ascolto reciproco che può trovare forma nei cosiddetti “cross-generational committes”, gruppi di lavoro intergenerazionali. Seduti attorno al tavolo si può andare alla ricerca di quali siano i valori alla base dell’agire in azienda, ma soprattutto del significato attribuito a ciascuno di essi (es. cosa si intende per “rispetto” nella nostra azienda? Quali comportamenti, se messi in atto, ci dicono che siamo rispettosi?).

Già solo questo confronto diventa una importante occasione di allineamento tra generazioni senior e junior che dovranno impegnarsi reciprocamente a far vivere i valori dell’azienda attraverso i comportamenti individuati. Di fronte poi ad eventuali conflitti intergenerazionali, i valori condivisi potranno essere richiamati proprio per ritrovare un allineamento e l’armonia interna all’organizzazione.

C’è però un’altra riflessione, un secondo step che può essere aggiunto e che ho avuto modo di scoprire dialogando con qualche realtà che ha dedicato molto tempo e cura nell’identificazione e condivisione dei valori aziendali.

Non ho potuto fare a meno di notare infatti che molti dei valori che le aziende scelgono alla base del loro agire, a seconda di come vengono definiti, possono favorire la sinergia tra generazioni diverse.

Provando a combinare insieme le riflessioni raccolte da più imprenditori e manager ne esce un “pacchetto valoriale”, una base che potrebbe essere da riferimento per quelle organizzazioni che fanno fatica a coinvolgere le generazioni più giovani mettendo dunque a rischio la loro sostenibilità, così come per quelle realtà in cui la varietà generazionale è molto alta ma si fa fatica a creare sinergia tra senior e junior.

1. Ascolto

L’ascolto è alla base di qualsiasi relazione e della gestione di qualunque diversità. Che cosa serve ascoltare? I bisogni della persona che si ha di fronte (junior o senior che sia), la sua storia, i suoi desideri e obiettivi. Ascoltare significa essere presenti all’altro, senza l’urgenza di dover offrire o imporre soluzioni. Significa silenziare per un attimo la propria mappa della realtà, per fare spazio al racconto di un altro punto di vista. In chiave generazionale, potremmo ad esempio evitare l’incipit “Ai miei tempi…” , mettere da parte la convinzione che nel passato le cose e le persone fossero migliori, silenziare alcuni pregiudizi che impediscono di intuire il buono nelle nuove generazioni. Stesso vale per i junior che spesso non ascoltano chi è senior proprio per il fatto che sono, come amano dire oggi, “boomer”.
Ascoltandosi reciprocamente non solo si arricchisce la propria esperienza, ma si può andare alla ricerca di modalità di interazione più efficaci, personalizzare la relazione e identificare strumenti di coinvolgimento e valorizzazione della persona che abbiamo di fronte.

2. Fiducia

La fiducia può essere definita in molti modi. A me piace intenderla al modo di Patrick Lencioni: la fiducia è ciò che ci permette di giocare a carte scoperte, di essere vulnerabili l’uno all’altro e di poter mostrare senza timori i propri limiti, paure, errori. Quando manca la fiducia, non si cresce. Viene meno il margine di miglioramento perché si gioca in difesa e a puntare il dito alla ricerca del colpevole. Laddove manca la fiducia va da sé che non si sviluppa nell’organizzazione la cultura dell’errore, quella cultura che permette di evolvere, di innovare, facendo crescere i più giovani.

3. Rispetto reciproco

Anche il rispetto può essere inteso in tanti modi. In questo caso mi appoggio a quella frase erroneamente attribuita a Voltaire ma che è ugualmente interessante: “Difenderò fino alla morte il tuo diritto di essere in disaccordo con me”. Il vero rispetto si manifesta quando riesco a dare ascolto e valore a ciò che l’altro sta dicendo per quanto lontano dal mio sentire e vedere.

Quante volte si sente dire che i junior non hanno rispetto dei senior? Quante volte è altresì vero il contrario?
Perché l’integrazione generazionale possa avvenire è necessario assicurare il rispetto reciproco e impegnarsi a farlo valere nelle relazioni tra junior e senior.

4. Coraggio

Avere il coraggio di spingersi in zone sconosciute, sfidare le proprie convinzioni rendendole più flessibili, provare cose che non si sono mai provate prima. Nel caso dell’integrazione tra generazioni, mentre i giovani sono tipicamente più predisposti ad accogliere il nuovo e tante volte sono loro stessi a protestare e a guidare campagne a favore del cambiamento, i senior potrebbero incontrare maggiori difficoltà. “Ha sempre funzionato così ed è andata bene, perché cambiare?”

Serve il coraggio di rimettere in discussione di tanto in tanto ciò che si è sempre fatto, provando ad accogliere le idee a volte anche molto strampalate dei più junior.
In concreto significa ad esempio cambiare l’immaginario del senior che fa da mentore al junior, ovvero che il mentore sia per forza una persona anagraficamente più anziana.
Nella complessità che viviamo oggi il concetto di mentore va aggiornato: mentore non è necessariamente chi è più senior e quindi ha più esperienza, ma chi ha un’esperienza…diversa dalla tua! Ecco allora che anche un junior può insegnare ad un senior.
Famoso è il caso aziendale di General Electric che nel 1999 ingaggiò 500 junior e senior affinché i primi insegnassero ai secondi ad utilizzare internet. Oggi potremmo parlare di digitalizzazione, ma non fermiamoci al solo ambito tecnologico. Il cosiddetto “reverse mentoring” può attuarsi rispetto a qualsiasi tematica.

5. Leadership generativa

Per leadership generativa si intende quell’essere leader che permette lo sviluppo della leadership altrui. Uno dei motivi infatti per cui si arriva ad occuparsi (e a preoccuparsi) dell’integrazione tra generazioni è la necessità di assicurare l’esistenza dell’azienda nel futuro, trasferendola “nelle mani” delle future generazioni, evitando l’amnesia professionale ovvero evitando che ci sia un vuoto, che non ci sia nessuno a cui trasmettere le conoscenze maturate negli anni ma anche (e soprattutto) la cultura dell’azienda e l’insieme delle competenze tacite. Essere leader generativi significa lasciare adeguato spazio a chi deve crescere, consentendogli l’errore e permettendo lo sviluppo del suo potenziale.

Ascolto. Fiducia. Rispetto. Coraggio. Leadership generativa.
Un esempio di base valoriale per quelle organizzazioni che oggi, spinte da vari motivi, cercano soluzioni per coinvolgere e trattenere i più giovani.
Di nuovo, prima che affrontare il tema degli strumenti, serve creare il contesto culturale. Se manca il contesto culturale, è facile che gli strumenti adottati (magari acquisiti a caro prezzo) e ogni iniziativa di cambiamento vengano presto abbandonati nel cassetto della scrivania di qualche manager HR.
Prima delle tecniche, insomma, serve sviluppare un certo modo d’essere e di agire.