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Boomers, Gen X, Millennials e Centennials: che fatica andare d’accordo!

Oops… I did it again…

…cantava Britney Spears vent’anni fa. Quest’estate avevo deciso di declinare qualsiasi attività di volontariato e impegno extra-lavorativo per prendermi un po’ di tempo per me dopo un anno un po’ difficile.

Tuttavia, per la solita strana convergenza dell’universo, mi è stato chiesto di accompagnare un folto gruppo di giovani della generazione Z in uno dei tipici campi di formazione estiva. Non ho saputo dire di no. Del resto, si sarebbe trattato di fare un po’ di supervisione, niente di più: una passeggiata rispetto al solito, direi quasi una vacanza.

La realtà è stata però un tantino diversa dalle aspettative iniziali. Se è vero infatti che mi capita spesso di lavorare con i giovani della Generazione Z, non mi ero mai spinta verso la coda di questa generazione che attualmente frequenta le scuole medie. Per me che per giunta non ho esperienza né di figli né di nipoti di quest’età, le prime ore sono state quasi da “shock”: un mondo completamente diverso dal mio, troppo distante per sperare di piacersi reciprocamente a prima vista. Deve essere stato in qualche modo simile all’impatto che alcuni imprenditori e manager con cui collaboro mi dicono di avere quando si confrontano con le nuove generazioni alle prime esperienze nel mondo del lavoro:

“Sono sempre sui social”.

“Non sanno comunicare”.

“Non sono formati adeguatamente”.

“Vogliono tutto subito”.

“Pretendono di ottenere risultati senza fatica”.

Certamente c’è del vero in tutte le affermazioni quando derivano da esperienze vissute in prima persona. L’importante però è non trasformarle in una generalizzazione, o peggio, in una lamentela fine a sé stessa.

Vista la popolarità che il tema “generazioni” sta acquisendo nei media di mese in mese, prima di andare oltre nelle riflessioni, può essere utile chiarire cosa si intende per “nuove generazioni”.

Cosa significa Millennial? Chi è un Centennial?

Alcuni studiosi suddividono la popolazione in gruppi generazionali ovvero gruppi di persone che essendo nate in un certo arco di tempo e condividendo i medesimi eventi sociali, storici, economici, culturali, politici, ecc…,  esibiscono simili valori, comportamenti, obiettivi e aspirazioni per la vita e la carriera lavorativa.

Ad ognuno di questi gruppi generazionali è stato associato un nome, un’ “etichetta”: Veterani (nati prima del 1946), Baby Boomers (nati tra il 1946 e i primi anni ’60), Gen X (nati tra la seconda metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’80), Gen Y anche detti “Millennials” (nati tra gli inizi degli anni ’80 e la metà degli anni ’90), Gen Z anche detti “Centennials” (nati tra la seconda metà degli anni’90 e il 2010 circa), Gen Alpha o “Vetro” (nati tra il 2010 e il 2024 circa).

Si può essere più o meno d’accordo con gli studiosi sulla categorizzazione della popolazione in gruppi generazionali e  sull’etichetta affibbiata. E ci si può sentire più o meno allineati rispetto alle caratteristiche o stereotipi che le ricerche scientifiche (forse ancora poco consistenti) attribuiscono ad ogni generazione.
Tuttavia non ci si può nascondere dietro al fatto che persone di età diverse siano… diverse… e che la loro gestione pertanto, anche nel lavoro, debba tener conto di questa diversità. In caso contrario, finiremmo per trovarci a gestire solo conflitti e perdere le opportunità che l’intergenerazionalità può apportare alle organizzazioni e alla società più in generale.

I vantaggi della diversità generazionale

Le ricerche confermano infatti che maggiore è la diversità (nel più ampio senso del termine) della composizione della popolazione aziendale, maggiore è la capacità di un’organizzazione di generare profitti.

Affrontare il tema della diversità, di cui quella generazionale è un esempio, non è però legato solo a ragioni di sostenibilità economica: all’azienda viene attribuito un ruolo sempre più importante nella sostenibilità ambientale e sociale dell’intero sistema in cui è inserita. In un contesto caratterizzato dall’aumento dell’aspettativa di vita, da cambiamenti in ambito sociale e previdenziale, dall’affiancamento lavorativo di addirittura quattro generazioni,… l’azienda è chiamata a giocare la sua parte. Ecco che diventa strategico conoscere la diversità da vicino, inclusa quella generazionale.

Nella relazione con una generazione diversa basta poco per innescare una dinamica “noi-voi”. Tornando all’esperienza del campo di formazione a cui ho partecipato, è stato facile per me scivolare nel giudizio verso i Centennials: gusti musicali e moda a dir poco discutibili, poca pazienza, stress, paure e ansie da pentirmi di non aver scelto quella volta di studiare psicologia invece che economia. Se questi tuttavia possono essere aspetti della diversità semplici da gestire (specialmente quando la convivenza ha una data di scadenza), lo stesso non si può dire quando le generazioni devono convivere per parecchi decenni nel luogo di lavoro.

Ognuno ha ragione… dal suo punto di vista!

Da qui la necessità di approfondire e sviluppare conoscenze e competenze utili alla gestione delle diverse generazioni. A questo scopo sono già scese in campo delle figure professionali sia interne che esterne all’azienda. Ma più che nuove competenze sul piano tecnico, penso che ce la si giochi su un modo d’essere che richiede di essere allenato da parte di tutti e che si potrebbe definire di ascolto. Sembra tanto banale invece non c’è cosa più difficile che ascoltare/ascoltarsi.

Messo da parte lo “shock” iniziale e l’eventuale scivolo nel discorso “noi-voi”, serve abbandonare per qualche istante il proprio punto di vista, la propria convinzione, per verificare quello della persona di generazione diversa.

Nel caso specifico di una conversazione a cui ho assistito di recente, prima allora di arenarsi nella sentenza “I giovani non vogliono fare fatica” e avviarsi verso uno scontro che non giova alla sostenibilità dell’impresa, può essere utile mettersi in ascolto e chiedersi: cosa stanno dicendo le nuove generazioni? Com’è cambiato il loro modo di intendere l’etica del lavoro? Come intendono la vita? Quali sono le loro priorità? Quindi, come devo cambiare? (Perché sì, le organizzazioni dovranno cambiare, su questo non c’è alcun dubbio). Lo stesso vale nei confronti delle generazioni più senior che, ad esempio, abbiamo trovato coinvolte nel fenomeno delle grandi dimissioni.

“Eh ma io non posso mica fare anche lo psicologo con i collaboratori!” – la battuta seria di un manager che si sentiva già affaticato da tante altre responsabilità.

Non esageriamo, non è necessario diventare psicologi, ma allenare quella capacità di ascolto tipico dei professionisti della relazione d’aiuto. Chi pensa di poter gestire persone senza ascoltarle, rischia di aver mal compreso il suo ruolo.

Dall’ascolto alle soluzioni

Dall’ascolto può nascere l’individuazione di soluzioni customizzate che favoriscano le diverse generazioni di collaboratori. In molte aziende si lavora oggi a nuove politiche di reclutamento, disegno della carriera, formazione dei senior, riorganizzazione degli orari di lavoro, riorganizzazione del lavoro, revisione delle politiche di remunerazione, adeguamento delle mansioni e iniziative di accompagnamento alla vita dopo il lavoro…

Se la capacità di ascolto favorisce innanzitutto chi si trova a gestire collaboratori di generazioni diverse, questa capacità è utile che sia allenata anche da parte di tutti coloro che operano nell’organizzazione al fine di favorire i vantaggi dell’interazione tra generazioni. L’obiettivo, in altre parole, è che il senior ascolti il junior e viceversa.

Tra i vantaggi più evidenti di quando senior e junior interagiscono e si ascoltano reciprocamente vi è la trasmissione della conoscenza tacita ossia di tutto quel “sapere” proprio di un’organizzazione che non è stato codificato, ma che assieme alla conoscenza esplicita rappresenta ciò che consente all’azienda di distinguersi dalla concorrenza.

Dall’interazione di persone diverse sappiamo inoltre che possono prendere vita nuove idee e soluzioni, o più semplicemente, ci si arricchisce a vicenda.

Ci sono aziende che per favorire il contatto tra collaboratori senior e junior hanno allora dato vita, ad esempio, a gruppi di lavoro misti, ad attività di collaborazione con scuole, università e gruppi di pensionati, ma sopratutto ad iniziative di formazione che vedono più generazioni affiancarsi l’una all’altra ed esperienze di mentoring e reverse mentoring.

Oltre alle occasioni di formazione in tema generazionale nel mondo del lavoro è importante tenere presente di quante cose si possano apprendere nella vita extra-lavorativa, come nell’esempio da cui ero partita. Le attività di volontariato in un contesto misto, con giovani e meno giovani, diventano ad esempio una palestra in cui allenare competenze generazionali che possono tornare utili nel mondo lavorativo, aprirsi al dialogo e alla collaborazione senza sentire la pressione della performance tipica del contesto aziendale.

Al di là della modalità scelta, la formazione risulta senza dubbio una delle leve più importanti, uno strumento per andare oltre gli stereotipi e coltivare un modo d’essere che favorisca la collaborazione tra generazioni. C’è chi se n’è reso conto da anni e chi invece affronta questi temi per la prima volta oggi e fa più fatica a volte correndo ai ripari come può.

Ciò che conta però è essersi messi in cammino.