Amore. Il primo pilastro della leadership.
Essere leader è un atto d’amore verso gli altri.
Potrebbe sembrare l’incipit di un discorso touchy-feely. Il mio intento, invece, è di restituire al tema della leadership quella natura umana, e spirituale, che negli ultimi decenni ho l’impressione sia andata un po’ appannandosi.
Leader è colui che si prende cura degli altri, che si dà da fare per proteggere, custodire, migliorare la vita di chi lo circonda; osserva con attenzione la realtà, identifica ciò che non va e si mette in gioco per trovare soluzioni innovative. Qualcuno potrebbe pensare che essere leader sia cosa piacevole. Effettivamente a volte lo può essere: quando le cose vanno bene si è elevati a punto di riferimento della comunità, si gode di attenzione e una volta concluso il lavoro si prendono anche gli applausi. Essere leader però non è sempre così: spesso comporta più costi che benefici e soprattutto, un lungo percorso ad ostacoli. Il più delle volte, una persona viene riconosciuta come leader solo alla fine del suo percorso, dopo aver speso molto tempo al servizio degli altri. R. Greenleaf insegna: è perché si è stati servitori che si viene riconosciuti come leader. E nel tempo che intercorre tra essere servitore ed essere riconosciuto come leader, io aggiungo, ci sono solitudine, ostacoli e fatica. Di fronte a tanto impegno senza certezza di riuscire, come può qualcuno mettersi in moto e darsi da fare quando può decidere di non affannarsi e vivere i suoi giorni in tranquillità? Non può che essere l’amore, quindi, ad animare il servitore-leader, spingendolo ad andare oltre i suoi stessi limiti, sopportando i costi e la fatica del mettersi in gioco per il bene comune.
Lo testimonia molto bene uno dei professori più cari al pubblico, Morrie Schwartz, attraverso le parole di Mitch Albom. Che cosa ha a che fare il professor Schwartz con la leadership? – qualcuno potrebbe chiedere. È la domanda che mi sono posta quando, ormai molti anni fa, un mio insegnante, John Phelan, entrò in aula i primi giorni del suo corso chiedendo agli studenti di leggere “I miei martedì col professore”. In questo testo sono contenute le memorie di Morrie Schwartz e Mitch, suo ex-studente. Morrie incontra Mitch all’università e presto ne diventa il Maestro. Dopo la laurea, Mitch fa carriera come giornalista sportivo e quasi arriva a dimenticarsi di Morrie. Una sera, un programma televisivo inquadra un professor Schwartz molto cambiato, segnato da una malattia terminale. Mitch sorpreso dal vedere il suo anziano professore in televisione e così cambiato, decide di tornare a fargli visita. Da qui incomincerà l’ultimo corso accademico di Morrie, “insegnante fino all’ultimo”, con cadenza settimanale, ogni martedì, e avente per argomento “Il Significato della Vita”. Il corso termina con la “laurea” di Mitch e la pubblicazione della sua tesi, un libro diffuso in diverse lingue e che ha segnato la vita di molti suoi lettori nel mondo.
Amatevi l’un l’altro o perite. Senza l’amore siamo come uccelli dalle ali spezzate.
L’amore di Morrie per le persone che lo circondano, sia nella sfera professionale che in quella personale, è simile al “fai all’altro ciò che vuoi sia fatto a te” della Regola D’Oro. Il leader non è altro che l’attivatore di un processo che sfida lo status quo. Come per Dante l’amore è ciò che muove tutto – il meccanismo della vita – così per Morrie e per colui che è leader, l’amore innesca una serie di azioni di servizio agli altri che lo fanno sentire vivo. La leadership diventa allora un processo in cui dare e ricevere sono una cosa sola, coincidono.
Fa’ il genere di cose che ti vengono dal cuore. Quando le farai, non ne resterai insoddisfatto, non sarai invidioso; non desidererai le cose altrui. Al contrario, sarai sommerso da quel che ti verrà in cambio.
A volte la tentazione è di misurare un leader in base alla grandezza delle cose che fa, dal numero di follower, dalla dimensione della sua organizzazione, dal fatturato, dallo status, dal numero di articoli che ne parlano, dal numero dei like ai suoi post, ecc. … Focalizzarsi sulla dimensione dell’iniziativa (del fatturato, dell’utenza…) è limitante e non è detto che garantisca l’espressione del massimo potenziale di leadership: è come cercare di tirare a segno mettendo a fuoco il bersaglio, piuttosto che il mirino. Certo, con un po’ di fortuna si va a segno lo stesso, ma non è garantito. Nella leadership, mettere a fuoco il mirino per andare a segno significa prestare attenzione al dettaglio, all’intensità, alla cura, all’amore che muove l’agire del servitore-leader che gli consentirà di stringere rapporti forti con coloro con cui sfiderà lo status quo e di essere ricordato per sempre. Come sostiene Morrie, è grazie all’amore che il leader continua a vivere anche dopo la morte.
OK, cosa ce ne facciamo di tutto questo filosofeggiare? Da dove si comincia nella pratica? Morrie suggerisce, dall’ “essere davvero presente”. Quando parli con qualcuno, un collaboratore, un cliente, un paziente, un investitore, uno studente, un membro della comunità, ecc. … rimani concentrato su chi hai di fronte come fosse la sola persona al mondo in quel momento.
Io credo nell’essere davvero presente. E questo vuol dire che si deve essere insieme alla persona con la quale si sta.
Se il leader deve poter sfidare lo status quo, deve prima capire i bisogni di chi ha di fronte. Sembra una banalità, ma essere presente all’altro non è cosa scontata. Morrie suggerisce di non farsi distrarre dai pensieri, da ciò che si è fatto un’ora prima, dalle commissioni che si dovranno fare più tardi, dagli appuntamenti di domani. È un invito all’ascolto.
Sto parlando con te. Sto pensando a te.