A cosa serve la formazione

“Non si finisce mai di imparare” è un’espressione su cui siamo tendenzialmente tutti d’accordo.

Non sembra esserci dubbio ormai che la formazione non termini con il diploma. Si continua ad imparare anche dopo la scuola dell’obbligo e l’università accumulando oltre all’esperienza nuove conoscenze e competenze.

Per quanto il concetto possa essere noto e condiviso conosco chi alla parola “formazione” associa noia, inutilità e perdita di tempo: se può la evita. Così, all’ennesimo invito dell’ufficio risorse umane o di chi è dedicato all’organizzazione degli appuntamenti formativi, declina accennando alla mole di lavoro che deve sbrigare.

A volte è effettivamente così: si è presi da tale mole di lavoro che l’unico modo per uscirne è procedere a testa bassa declinando ogni invito ad iniziative che possono distogliere dagli impegni di breve termine.

La formazione permette di adeguare il proprio fare rispetto al contesto che cambia: è un’occasione per sviluppare nuove abilità e acquisire conoscenze oppure consolidarle, aggiornarsi sulle ultime novità del proprio settore. Il rischio altrimenti è di alzarsi un giorno la mattina e scoprire di essere “fuori dal contesto”, obsoleti come si direbbe per una macchina, in altre parole, incapaci di operare perché mancanti degli strumenti per leggere il contesto e individuare le azioni per rispondervi in modo appropriato.

Vista la complessità del contesto in cui si opera e l’interconnessione del proprio lavoro con il “sistema”, è sempre più importante mantenere l’attenzione su una formazione che sia non solo specialistica, ma che permetta un certo grado di trasversalità.

Oggi ad esempio si sente molto parlare di intelligenza artificiale: perché non avvicinare la conoscenza legata a questo tema per comprendere, indipendentemente dal proprio ruolo, come l’organizzazione e il proprio lavoro può esserne influenzato?
Ci sono poi molte tematiche sociologiche che possono essere di interesse. Così come i trend demografici possono aiutare a comprendere come muteranno i bisogni dei clienti, dei collaboratori, dei colleghi.

Sostenibilità, diversità, inclusione ed equità sono altre tematiche che, a detta degli esperti della formazione, continueranno ad essere ancora a lungo tra le più interessanti soprattutto per la popolazione manageriale sempre più chiamata a creare ambienti lavorativi equi ed inclusivi.

Rimane poi la formazione sulle competenze più “soft”, in particolare quelle competenze che permettono relazioni efficaci.
Ascolto, assertività, dialogo, gestione del conflitto… sono tra le competenze apparentemente più banali, ma in realtà sono quelle che più richiedono attenzione e motivazione nel loro sviluppo. Sono competenze che non si ritrovano solo nel contesto lavorativo, ma investono qualsiasi ambito della vita. Sono per molti le meno attraenti da approfondire.

La formazione delle competenze soft infatti ha delle tempistiche tipicamente spesso più lunghe di quella per le competenze “hard”.

Per intenderci, una giornata passata a formarsi sulla leadership non fa di noi un leader. Per migliorare in una competenza soft serve tempo (c’è chi dice addirittura due anni) dove, mantenendo una certa motivazione e costanza, la persona si impegna nell’agire nuovi comportamenti cambiando in modo rilevante la sua prestazione e indirettamente quella dell’organizzazione a cui appartiene.

Le giornate di formazione, per quanto da sole non siano sufficienti allo sviluppo delle competenze soft, rappresentano dunque un’occasione di confronto,
di autovalutazione e autoconsapevolezza rispetto allo sviluppo della competenza oggetto di attenzione.

È bene altresì tenere presente che la stessa organizzazione può essere da una parte promotrice della formazione contemporaneamente svilirla. Non basta infatti che il singolo individuo sia motivato alla propria crescita professionale e personale. Per far sì che la formazione non sia una perdita di tempo è necessario lavorare sui fattori indipendenti dal singolo che influiscono sull’efficacia della formazione “soft”.

Tra questi quello che forse è più determinante è la presenza di una cultura della
formazione continua e quindi l’apprezzamento delle competenze acquisite o migliorate da parte dell’organizzazione così come dei colleghi e dei capi e il supporto di questi ultimi al miglioramento continuo.